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01.
COMUNITA' ALLOGGIO PER UTENTI CON DISAGIO PSICHIATRICO
I Riferimenti Teorici Alla Base Degli Interventi Riabilitativi
Il paradigma bio-psico-sociale
L’ipotesi secondo la quale molti disturbi psichiatrici sarebbero causati da una combinazione di predisposizione genetico-costituzionale e di fattori esperienziali interpersonali, socioculturali e ambientali che attivano tale predisposizione, ha ricevuto negli anni conferme continue. L’intreccio eziopatogenetico di nodi causativi può così rifarsi al modello biopsicosociale, di matrice sistemica, in base al quale, nel trattamento dei principali disturbi psichiatrici, si devono effettuare terapie che associno interventi farmacologici, psicoterapeutici e socio-riabilitativi.
Il modello biopsicosociale afferma infatti che le componenti biologica, emozionale e ambientale sono parti integranti dello sviluppo e del decorso delle malattia mentale e che il migliore paradigma applicativo sia la necessitò di capire per poter curare, inquadrando in una visione unitaria la patologia e la sua terapia.
Il piano terapeutico diventa “progetto terapeutico” se gli interventi considerano l’essere umano nella sua globalità, evitando una frammentazione artificiale nelle sue componenti e tenendo conto della sua personalità (caratteristiche del sé, meccanismi di difesa, conflitti psicodinamici), e dell’assessment diagnostico complessivo del paziente.
Questo approccio permette di:
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comprendere i diversi aspetti del funzionamento di ogni soggetto nelle diverse aree (es. cura della persona, qualità delle relazioni interpersonali),
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definire gli interventi terapeutici mirati,
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effettuare una valutazione oggettiva dell’andamento del programma terapeutico,
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suggerire al C.S.M. di riferimento gli eventuali aggiustamenti in itinere da apportare.
In quest’ottica, il gruppo di lavoro presente nella Comunità deve essere in grado di conoscere e applicare in modo corretto anche gli approcci inerenti ai campi psicosociologico e culturale, immedesimandosi nelle culture di appartenenza del soggetto.
In tale tipo di approccio è necessario un coordinamento «a rete» di tutti gli interventi perché entrano in gioco tanto i problemi psicologico-dinamici quanto quelli attinenti alla pluralità culturale relazionale, ciò nel rispetto autentico della persona attraverso la cultura dell’«altro da noi».
In sintesi, i presupposti alla base di tale approccio sono:
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il coinvolgimento dell’ospite e dei suoi familiari: fondamentale è la compartecipazione attiva dell’utente in tutto il processo riabilitativo che lo riguarda;
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la scelta di obiettivi riabilitativi personali di vita: è necessario che l’utente sia aiutato ad essere protagonista nell’effettuare scelte realistiche;
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lo sviluppo delle potenzialità della persona: la premessa di ogni processo riabilitativo è che ogni persona, nonostante le disabilità, possa migliorare e crescere;
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la negoziazione di un percorso individualizzato di crescita e cambiamento: è indispensabile l’attenzione al livello funzionale di partenza della persona e il rispetto delle differenze e bisogni di ciascuno;
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isomorfismo ambientale: è importante creare un ambiente ed esperienze il più possibile simili a quelli di una situazione naturale.
Gli Obiettivi Dell’attività Riabilitativa
Sul piano operativo vengono utilizzate strategie flessibili, che agiscono sinergicamente a diversi livelli, e che sono deputate alla riattivazione dei canali relazionali, alla ridefinizione del tempo e degli spazi nella quotidianità, al potenziamento delle risorse e delle abilità sociali residue, al recupero di quelle perse e all’acquisizione di nuove.
Si lavora anche sul contesto in quanto, esistendo una stretta interazione tra individuo ed ambiente, ogni variazione di uno dei due elementi produce un cambiamento sull’altro: un valido percorso riabilitativo porta l’utente a reinserirsi nell’ambiente socio-lavorativo e a riguadagnare ruoli e diritti perduti, puntando al conseguimento del massimo grado di autonomia possibile, anche in assenza di risoluzione della patologia.
L’attività riabilitativa è intesa quindi come un processo integrato, che implica una stretta connessione fra i programmi di intervento sanitario e sociale ed è volta a prevenire o minimizzare le conseguenze della disabilità psichica, aiutando l'individuo a sviluppare e a usare le proprie risorse, acquisendo fiducia in se stesso, attraverso esperienze positive di rapporto con l'ambiente sociale.
La riabilitazione si articola in due fondamentali strategie di intervento:
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il recupero delle autonomie dell’utente nella gestione della quotidianità, che possono essere state compromesse dalla malattia, e che vanno dalla più elementare capacità di prendersi cura di sé (praticare l’igiene personale, fare compere, riordinare l'abitazione ecc.) allo sviluppo di capacità sociali complesse (stare a contatto con gli altri, appartenere a un gruppo ecc.);
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lo sviluppo delle risorse dell'ambiente, per sostenere l'intervento operato sull'individuo: rientrano in tale ambito il lavoro con le famiglie e la ricerca di opportunità per un inserimento nel mondo del lavoro.
La Metodologia Operativa
L’attività riabilitativa viene realizzata attraverso un approccio multidisciplinare e utilizzando il metodo delle Social Skills Training di Lieberman e il metodo psicosociale di Spivak .
L’approccio multiprofessionale e multidisciplinare
Il modello teorico biopsicosociale deve strutturarsi in una pratica clinica che articoli, in modo interattivo e non contraddittorio, interventi terapeutici afferenti a matrici disciplinari diverse.
Una visione strategica che articoli con coerenza gli interventi farmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi è una prospettiva che provoca numerose difficoltà negli operatori, richiede una forte attitudine al lavoro di gruppo per progetti e non per mansioni, la condivisione della quotidianità, la collaborazione nella stesura e verifica dei progetti individualizzati ed una specifica competenza nel gestire il sistema delle identificazioni-proiezioni, fondamentale per impostare la relazione terapeutica.
La formazione del personale deve pertanto essere formulata come continuo adeguamento delle competenze professionali e come costante addestramento alla relazione terapeutica, secondo i modelli teorico-pratici delle più collaudate ricerche in ambito clinico, psicoterapeutico e riabilitativo, aiutando gli operatori a:
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comprendere l'importanza del contesto di vita del soggetto;
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essere consapevoli dei differenti significati che una malattia può assumere per i differenti componenti di una famiglia;
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sviluppare un'attitudine empatica e non giudicante;
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sviluppare la qualità della giusta distanza dal paziente;
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comprendere il rischio di invischiamento e di controtransfert;
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sviluppare capacità di analisi contestuale, di contenimento ed utilizzo dei principi epistemologici connessi alla cibernetica di secondo ordine ed applicati al sistema umano.
Il Modello “Social Skills Training” Di Liberman
E’ un modello biopsicosociale della malattia psichica, che descrive la relazione esistente tra la predisposizione biologica alla malattia e gli stressor ambientali.
Secondo Liberman, quando eventi stressanti acuti o stress ambientali protratti si sovrappongono alla vulnerabilità dell’individuo, lo stress supera la capacità di adattamento e porta all’esordio della malattia, o a ricadute.
L’intervento riabilitativo, pertanto, deve contrapporre ai fattori di vulnerabilità dei pazienti l’acquisizione di fattori “protettivi” tra i quali le abilità sociali (es. gestione dello spazio abitativo e delle attività lavorative).
Gli interventi mirano a potenziare le strategie più funzionali dei pazienti e a correggere gli atteggiamenti che ostacolano il recupero o l'apprendimento della abilità.
I pazienti infatti adottano spesso comportamenti sociali che non consentono loro di raggiungere gli scopi che si sono prefissati nell’interazione con le figure di riferimento, nell’espressione dei bisogni pratici ed emotivi, nella costruzione di nuove relazioni interpersonali e che spesso comportano una diminuzione del livello di tolleranza nei confronti della loro soggettività.
Il primo momento del percorso riabilitativo è rappresentato dall’identificazione del problema, attraverso l’assessment funzionale del soggetto, ponendo l’attenzione ai deficit individuati, al disturbo diagnosticato, al punto di vista del paziente e, se possibile, dei familiari.
Successivamente, attraverso un insieme di tecniche psico-educazionali, i pazienti vengono aiutati in maniera sistematica a sviluppare abilità più efficaci per interagire con gli altri, attraverso le seguenti azioni:
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stabilire le abilità da raggiungere;
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mostrare l’uso appropriato di un’abilità all’interno di un gioco di ruolo effettuato dai due conduttori;
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discutere il gioco di ruolo con i partecipanti;
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coinvolgere nel gioco di ruolo i membri del gruppo uno alla volta, offrendo loro prima feedback positivi e poi correttivi;
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assegnare dei compiti da eseguire al di fuori dal gruppo per allenarsi nell’utilizzo dell’abilità in contesti esterni.
Le tecniche sono basate su una serie di principi dell’apprendimento sociale come
il modeling (apprendimento per osservazione),
il rinforzo (lodare verbalmente i passi dell’abilità sociale eseguiti correttamente),
lo shaping (rinforzare le successive approssimazioni al comportamento finale desiderato), l’automatizzazione (praticare l’abilità in maniera sistematica fino a che diventa automatica) e
la generalizzazione (trasferire l’abilità appresa entro il setting terapeutico ad altri contesti di realtà quotidiana).
L'applicazione del modello psico-educazionale sembra svolgere un ruolo importante nel controllo del sintomo psichiatrico, favorisce una migliore performance personale e sociale dei pazienti e riduce il numero e la gravità delle ricadute.
Il Modello Psicosociale di Spivak
L’obiettivo principale della riabilitazione psichiatrica è, secondo Spivak, contrastare la cronicizzazione della patologia psichiatrica.
In quest’ottica è indispensabile analizzare i meccanismi sui quali si basa il rischio che la malattia si cronicizzi.
Secondo la prospettiva psicosociale, tutte le azioni attuate da un soggetto sono in rapporto di influenza reciproca con l’ambiente: se tali azioni sono dei fallimenti personali e sociali, la risposta data dal contesto sarà di isolamento ed emarginazione e la reazione del paziente sarà di evitamento.
Questo processo conduce alla desocializzazione, cioè all'allontanamento dell'individuo dai rapporti sociali con la conseguente limitazione e cristallizzazione della sua articolazione sociale.
La desocializzazione comprende non soltanto il "paziente", ma anche le persone significative intorno a lui, compresi gli operatori, che inizieranno a evitare di proporre situazioni nelle quali potrebbe sperimentare un nuovo fallimento.
Lo scopo della riabilitazione diventa, pertanto, lo sviluppo dei comportamenti socialmente competenti (CSC) che accrescono l’articolazione sociale della persona in ciscuna delle 5 aree di vita (abitazione, lavoro, cura personale, spazio sociale e ricreatico, famiglia).
Il mezzo per realizzare questi obiettivi è la risocializzazione del paziente, che deve essere realizzata attraverso il rapporto operatore-utente e in un contesto che favorisca lo sviluppo di un comportamento organizzato.
Individua pertanto quattro dimensioni socio-interazionali che devono caratterizzare il rapporto operatore- utente:
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Supporto: il paziente viene accettato così com’è e non gli vengono fatte richieste troppo elevate.
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Permissività: vengono accettati i comportamenti disturbanti del paziente (per dimostrargli il fatto di rimanergli accanto anche quando mette in atto questi comportamenti), ma non quelli pericolosi.
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Non conferma delle aspettative devianti: si presta attenzione a non confermare le aspettative di rifiuto, di fallimento, interiorizzate dal paziente per la sua storia precedente.
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Impiego selettivo delle ricompense: i comportamenti socialmente competenti vengono ricompensati.
Gli strumenti utilizzati nella valutazione e nell’assessment riabilitativo
Gli strumenti utilizzati sono quelli concordati col C.S.M.
Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS) è una scala di valutazione che un clinico o un ricercatore può utilizzare per misurare i sintomi psichiatrici come la depressione , l'ansia , allucinazioni e comportamento insolito. Ogni sintomo è valutabile con un punteggio da 1 a 7 per un totale di 18 sintomi. La scala è una delle più validate, ampiamente utilizzata per misurare i sintomi psicotici ed è stato pubblicato nel 1962.
Scala italiana di valutazione della qualità di vita è una scala da compilare in funzione delle aree di criticità nella vita dell’utente. Deve essere compilata in base alle informazioni raccolte sia dall’intervista del paziente, sia dal colloquio con i familiari, gli amici o il personale che lo assiste.
Beck Depression Inventory BDI è un questionario che viene autosomministrato per indagare gli aspetti depressivi.
E’ formato da 21 aree d’indagine, che corrispondono rispettivamente ai 21 item di cui si compone il BDI.
Gli aspetti indagati dal test sono: tristezza, pessimismo, senso di fallimento, insoddisfazione, senso di colpa, aspettativa di punizione, delusione verso sé stessi, autoaccusa, idee suicide, pianto, irritabilità, indecisione, dubbio, ritiro sociale, svalutazione della propria immagine corporea, calo dell’efficienza lavorativa, disturbo del sonno, faticabilità, calo dell’appetito, calo ponderale, preoccupazioni somatiche, calo della libido.
Gli item compresi tra la domanda numero uno e la domanda numero tredici confluiscono nella subscala cognitivo-affettiva, i restanti item sono invece raggruppati nella subscala dei sintomi somatici e prestazionali.
Il paziente ha la possibilità di scegliere tra quattro risposte alternative secondo gradi di gravità crescente.
Questionario di soddisfazione.
La soddisfazione dell’utente è un requisito fondamentale per ogni rapporto, un prerequisito essenziale per il successo del trattamento, il quale rischierebbe di interrompersi per mancanza di compliance.
In molti casi poi, non infrequenti in psichiatria, in cui è difficile evidenziare e quantificare i cambiamenti del quadro psicopatologico, la soddisfazione dell’utente diviene un importante indicatore di efficacia dell’intervento.
Le Attività Previste Per Il Servizio
Le attività sono finalizzate a favorire le autonomie e i processi di riabilitazione e di risocializzazione e per tale motivo si tenderà a privilegiare luoghi al di fuori dell’ambiente comunitario che abbiano caratteristiche di de-stigmatizzazione e che offrano opportunità di inclusione sociale.
comprendono:
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Attività di routine volte al potenziamento e mantenimento delle autonomie personali, attività domestiche e di gestione di luoghi di vita.
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Attività strutturate.
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Attività culturali (finalizzate al mantenimento delle abilità cognitive).
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Attività motorie.
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Attività socio-relazionali.
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Attività integranti nel territorio.
Le Attività Di Routine
Nella programmazione delle attività, un ruolo importante assumono le attività di routine, concepite come veri e propri momenti terapeutici, finalizzati a stimolare l’esercizio delle autonomie, occasioni in cui l’utente con l’aiuto mirato dell’operatore, realizza il “prendersi cura di se stesso”.
Le attività di routine comportano differenti gradi di intervento, in rapporto alle risorse e ai bisogni individuali, nei seguenti ambiti:
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gestione dell’ambiente (attività domestiche)
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cura di sé (igiene, alimentazione, abbigliamento)
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gestione del denaro
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uso del telefono
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fruizione dei mezzi di trasporto e delle risorse territoriali
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autonomia nella gestione della propria terapia
A ciascun utente vengono assegnati i compiti più adatti alle proprie capacità (valutate nel corso dell’assessment iniziale ed in itinere) e in base agli obiettivi educativi stabiliti dal progetto terapeutico-riabilitativo, redatto dall’équipe curante.
L’attività di cucina
Viene svolta quotidianamente con la supervisione degli operatori presenti in turno, riproducendo il modello del nucleo familiare, all'interno del quale vengono distribuiti ai singoli componenti compiti diversi nella prospettiva di renderli più autonomi.
Questa attività permette di acquisire conoscenze relative alla scelta degli alimenti, alla loro conservazione, all'igiene. Un gruppo di utenti a turno prende parte al processo che comporta la realizzazione di un buon pranzo: dal pensare e decidere il menù, alla spesa, alla preparazione del cibo, all'apparecchiare e sparecchiare, al lavaggio delle stoviglie.
Si intende così dare a tutti la possibilità di essere parte attiva di ogni fase di questa esperienza che comprende momenti più creativi e piacevoli ed altri considerati meno gratificanti e più faticosi.
La decisione del menù e la condivisione del pranzo vedono la presenza di tutto il gruppo, gli altri momenti sono regolati o da turni precisi o dalle disponibilità emergenti legate anche alle proposte delle ricette.
L'attività del gruppo rappresenta per certi aspetti il soddisfacimento di un bisogno di base quale è l'essere nutriti, ma con un'attenzione particolare a non farne un'esperienza solo passiva.
Infatti il partecipare consente di sentirsi capaci di contribuire con il proprio aiuto ad un momento comune di benessere, favorisce in alcuni la possibilità di acquisire o di recuperare capacità che possono essere utilizzate in vista di una prospettiva di una maggiore autonomia.
In questo senso l'attività della cucina permette l’emergere di uno spazio nel quale si può stare bene insieme, vivere un momento conviviale realmente condiviso e poterlo aprire ad eventuali "ospiti".
Gli operatori addetti alla conduzione della cucina e alla preparazione dei pasti si attengono al rispetto delle norme igienico-sanitarie esplicitate dalla normativa.
Le Attività Strutturate
Oltre alle attività di routine, in base ai progetti personalizzati, sono proposte attività di natura ricreativa, culturale, ludica ed occupazionale presentate in modo accessibile, così che l’utente possa viverle come significative e gratificanti.
La flessibilità nella gestione quotidiana delle attività è un elemento imprescindibile, date le caratteristiche e la variabilità dell’utenza, e può essere realizzata solo grazie ad un’organizzazione del lavoro elastica: l’equipe ha infatti l’autonomia nell’arco della giornata, di scegliere quando effettuare determinati interventi, compatibilmente con la disponibilità, le condizioni e la motivazione degli utenti.
Le attività sono articolate in: attività individuali (svolte da un utente e da un operatore), attività di piccolo gruppo (4-5 utenti e un operatore) e attività di grande gruppo (10 utenti e un operatore) e devono essere:
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Brevi: di durata non superiore a 60 minuti
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Realizzabili: l’utente deve essere in grado di svolgerle con successo
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Interessanti: in grado di stimolare l’interesse e l’attenzione
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Semplici: devono partire da competenze e abilità presenti.
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Realistiche: devono essere concrete e avere un significato per l’utente
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Utili: l’utente deve percepire l’utilità del proprio operato
Il “Progetto Lavoro”
In relazione alla progressione del trattamento riabilitativo, si assiste ad un’evoluzione dei bisogni degli utenti, che esprimono gradualmente la necessità di vivere in una propria abitazione, di avere un’occupazione e un proprio reddito.
Il “Progetto Lavoro” permette l’inserimento lavorativo degli utenti, sia presso le Cooperative di Tipo B, sia presso Enti pubblici, Enti convenzionati, Aziende private e pubbliche, e rappresenta il primo passo verso un percorso più strutturato di inserimento lavorativo al di fuori del circuito dei Servizi.
Gli operatori, in collaborazione con il CSM, si adoperano costantemente per ricercare opportunità di formazione e di lavoro per gli utenti che non sono ancora inseriti nel circuito lavorativo.
Ogni progetto viene condiviso dall’equipe referente e dall’interessato. L’individuazione del luogo di lavoro e delle mansioni da svolgere viene effettuato sulla base delle valutazioni psico-fisiche ed attitudinali dei pazienti al fine di garantire che siano in possesso delle competenze di base necessarie allo svolgimento del lavoro.
Gli operatori, inoltre, lavorano per potenziare le abilità che devono integrarsi con le capacità di base e cioè quelle personali (relative al rispetto dell’orario, alla cura dell’igiene e dell’abbigliamento) e quelle relazionali (assunzione di comportamenti rispettosi, senso di responsabilità verso di sé e gli altri e costruzione di rapporti significativi).
L’insegnamento di una competenza professionale non è finalizzato esclusivamente all’acquisizione di una professione, ma alla capacità di inserirsi in un processo lavorativo, in modo da essere in grado di rapportarsi anche a future realtà “non protette”.
L’inserimento lavorativo viene regolamentato come un contratto “terapeutico” formale tra paziente, famiglia, CSM, Ente o Ditta, nel quale sono indicati la sede di lavoro, l’orario stabilito, la mansione da svolgere e la sua durata.
Nel contratto è inclusa una clausola che solleva da qualsiasi obbligo e responsabilità il titolare dell’Ente o della Ditta rispetto a danni arrecati a cose o persone dal paziente.
L’equipe referente provvede periodicamente al monitoraggio e alla valutazione dell’inserimento effettuato, al fine di prevenire o eliminare eventuali difficoltà che possono insorgere in ambito lavorativo.
In tale modo si sviluppa un’osservazione puntuale della progressione terapeutica, e in particolare dei seguenti indicatori:
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acquisizione di abilità lavorative e relazionali
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adeguamento al ciclo produttivo ed al processo di lavoro
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raggiungimento di un’identità sociale attraverso il “ruolo” di lavoratore
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potenziamento dell’autostima, dell’autonomia e del senso di utilità personale
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miglioramento delle condotte comportamentali
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capacità di imitare i modelli positivi costituiti dagli altri lavoratori.
Le Attività Culturali
Quotidianamente si offre agli ospiti l'opportunità di leggere le principali testate nazionali; inoltre settimanalmente è prevista la lettura critica, guidata da un educatore, di alcuni articoli di giornale come spunto di discussione e approfondimento di eventi e problematiche attuali.
Si prevedono inoltre momenti di conversazione, visione di film, ascolto di brani musicali, realizzazione di gruppi tematici.
Gli argomenti trattati prendono quasi sempre spunto dalla realtà quotidiana e generalmente sono proposti dai pazienti; questo aumenta il loro interesse e favorisce una partecipazione attiva ma soprattutto risponde ai loro bisogni.
Il gruppo di confronto si propone come occasione nella quale gli ospiti possono discutere di ciò che accade, esprimere le loro emozioni, i dubbi, le proposte, riflettere insieme e aiutarsi reciprocamente.
Esso rappresenta, quindi, un luogo e un tempo in cui riflettere e confrontarsi con l'“altro” per rielaborare le esperienze vissute, conoscersi, organizzare il tempo libero e ampliare la rete sociale.
Il gruppo facilita la cooperazione e la comprensione e offre una possibilità di confronto con gli altri in un clima non giudicante, per favorire una maggiore consapevolezza dei propri schemi di comportamento e una minore resistenza ad accogliere pareri differenti dai propri.
Il gruppo diventa un luogo sicuro dove accogliere valori e norme costruttivi che poi vengono mantenuti al di fuori della vita comunitaria.
La gestione dell’area emotivo-relazionale viene affrontata all’interno di colloqui individuali orientati all’ascolto, all’approfondimento di problemi e condizioni di vita della persona.
Le Attività Motorie
Le attività motorie saranno da calibrare in base alla tipologia di utenza e alla loro disponibilità, sempre facendo riferimento alla possibilità di cooperare con altre strutture residenziali o semi-residenziali.
In linea teorica forniamo una serie di possibili interventi effettuabili:
La ginnastica
L’attività di ginnastica viene effettuata due volte la settimana per 2 ore presso una palestra da individuare presso la CA.
Tutte le attività dovrebbero condotte da un professionista ISEF o un laureato in Scienze Motorie e sono finalizzate, attraverso il movimento, a favorire negli utenti la rappresentazione cosciente del proprio corpo.
I pazienti spesso trascurano o ignorano il proprio corpo e perdono la capacità di ascoltare i propri bisogni: attraverso la riscoperta delle diverse posture, della coordinazione dei movimenti e del ritmo, è possibile recuperare un senso di unità e integrità corporea, che costituisce le fondamenta per l'organizzazione e la proiezione del corpo nello spazio.
Tra le diverse attività a corpo libero, o svolte con piccoli attrezzi, quelle legate al movimento come espressione del sé, come coscienza tonica e posturale, hanno senz'altro lo spazio più rilevante
L’attività in piscina
Si potrebbe svolgere due volte la settimana per due ore presso una piscina vicino alla struttura.
Il nuoto, tra le attività fisico-educative, è senz’altro quella più completa, perché richiede non solo una certa attenzione, ma soprattutto la simultanea, armonica, ritmica partecipazione di tutte le molteplici componenti morfo-funzionali dell’organismo.
Durante le attività in piscina la relazione e la comunicazione vengono stimolate e facilitate dall'ambiente acquatico.
Mentre però da una parte la mancanza di gravità e la sensazione di essere sostenuti e contenuti dall'acqua permette di sciogliere resistenze e diminuire tensioni toniche favorendo momenti di apertura agli altri, dall'altra l'acqua può indurre uno stato regressivo.
È perciò indispensabile che il lavoro da svolgersi in acqua sulla tecnica degli stili sia preceduto da una pre-fase di ambientamento e acquaticità, fatta di giochi e di esercizi di rilassamento.
Gli esercizi di acquaticità realizzati nella vasca con l'ausilio di salvagenti o di galleggianti in genere e con la partecipazione e la collaborazione attiva degli educatori, permettono un'esperienza motoria profonda, che contribuisce all'acquisizione di quei confini corporei che hanno l'indubbia capacità di arricchire lo schema motorio dei fruitori.
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